Dott.ssa Klarida Rrapaj
Ogni percorso inizia da un primo passo.
In questo studio troverai ascolto autentico, cura professionale e uno spazio sicuro dove poter iniziare a riconnetterti a te stessa e alla tua forza.
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Online e in studio presso Via Marche 57, Fonte Nuova (RM)
Câè qualcosa di profondamente ingiusto nel dover raccontare ancora una volta il suicidio di una persona in divisa
Unâaltra giovane vita spezzata, unâaltra storia interrotta troppo presto, consumata nel luogo che avrebbe dovuto proteggerla, la caserma. Lâarma usata è sempre quella, quella dâordinanza, la stessa che ogni giorno rappresenta dovere, disciplina, forza. Ma la forza, quando è imposta e mai accolta, diventa una prigione.
Nel mio lavoro come psicologa clinica e criminologa, e nel mio attuale percorso di specializzazione in psicologia militare, ho scelto di guardare negli occhi un mondo spesso dimenticato, quello delle persone che portano lâuniforme e che ogni giorno convivono con una pressione costante, una solitudine silenziosa, unâidentitĂ pubblica che non lascia spazio a cedimenti.
In molti, quando pensano alla divisa, pensano a chi comanda, a chi protegge, a chi è immune alla paura. Ma questa è solo lâimmagine esterna, quella che si vuole trasmettere, quella che rassicura. Dentro lâuniforme, però, batte un cuore fragile come tutti gli altri. Un cuore che ha il diritto di chiedere aiuto.
Eppure, in molti ambienti militari e istituzionali, il disagio emotivo è ancora un tabĂš. Non câè spazio per il dubbio, per la vulnerabilitĂ , per la stanchezza mentale. Ci si aspetta che chi indossa una divisa sia sempre lucido, sempre pronto, sempre allâaltezza. Ma nessuno è sempre pronto. Nessuno è invulnerabile. E il dolore, se ignorato, trova comunque un modo per uscire, a volte in modo tragico e irreversibile.
Dopo ogni suicidio, le parole sono sempre le stesse: âSembrava una persona forte, sempre sorridente, molto professionaleâ. E proprio quel sorriso, troppo spesso, è la maschera che nasconde un dolore profondo. Il professionismo può convivere con lâangoscia, la disciplina con lâansia, la puntualitĂ con la depressione. Ma se non lo si può dire, se non lo si può mostrare, allora diventa insostenibile.
Chi lavora nelle forze armate e dellâordine è esposto a ritmi logoranti, a situazioni ad alto impatto emotivo, a un senso di responsabilitĂ schiacciante. A volte manca il tempo per respirare, per fermarsi, per riflettere.
Ma soprattutto manca uno spazio sicuro in cui potersi raccontare, in cui poter dire: âOggi non sto beneâ, senza paura di essere giudicati, penalizzati, esclusi. PerchĂŠ questo è il rischio reale che percepiscono molti: che ammettere una difficoltĂ venga letto come un cedimento, come una colpa.
Ă arrivato il momento di fermarsi e ascoltare. Di chiederci seriamente quanto stiamo facendo, come societĂ e come istituzioni, per proteggere non solo il corpo, ma anche la mente di chi serve lo Stato.
Non bastano le parole di cordoglio, non bastano le commemorazioni, non basta dire âmai piĂšâ se poi tutto resta comâè. Servono azioni concrete, programmi di prevenzione psicologica, figure qualificate sempre presenti nei luoghi dove si forma, si lavora, si vive.
Serve una formazione diffusa, che permetta anche ai superiori e ai colleghi di riconoscere i segnali prima che sia troppo tardi. Serve una nuova cultura della cura, che sappia guardare in profonditĂ e non solo in superficie.
Quando una persona in divisa si toglie la vita, non è una tragedia privata. Ă un segnale collettivo, un campanello dâallarme che ci riguarda tutti. PerchĂŠ quel gesto estremo è la punta visibile di un iceberg di dolore che spesso resta sommerso, invisibile, inascoltato.
Sotto la divisa câè unâanima. Unâanima che non vuole essere trattata da eroe, ma da essere umano. E che merita, oggi piĂš che mai, rispetto, protezione e ascolto. Prima che sia troppo tardi.
Dott.ssa Klarida Rrapaj
Psicologa clinica, specializzata in Psicologia Militare
Violenza sulle donne: dal riconoscimento allâintervento â Il mio intervento al Senato della Repubblica
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2025-08-05 11:37
2025-08-05 11:37
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